COME MAI ALCUNE PERSONE SONO TRANSGENDER?
Cosa porta un individuo ad essere transgender? E come mai la Disforia di Genere è considerata un disordine mentale? Diamo un’occhiata alle ultime pubblicazioni scientifiche, tenendo presente che si tratta di una materia in continua evoluzione.
Di solito quando ci chiediamo “perchè una persona è quella che è” la risposta va cercata tra “natura” e “cultura”, un mix tra dotazione biologica e quello che decidiamo di farne. Essere transgender invece sembra non avere a che fare con questo dilemma. La ricerca è solo all’inizio ma già da ora la risposta è chiara: si tratta semplicemente di natura.
Come lo sappiamo?
È stato recentemente scoperto che il sesso anatomico (caratteri sessuali genitali e non), l’identità di genere (maschile, femminile, …) e perfino l’orientamento sessuale (eterosessuale, bisessuale, omosessuale, …) vengono predisposti già durante la gestazione. Se l’anatomia sessuale si stabilisce entro le prime sei settimane, prima che il cervello si caratterizzi come maschile o femminlie passano altri sei mesi e mezzo: è un sacco di tempo e possono succedere molte cose! Durante la gestazione se esposte a testosterone le cellule cerebrali del feto si sviluppano nella direzione maschile che darà luogo ad un’identità di genere maschile. In assenza di testosterone il cervello si sviluppa in forma femminile dando luogo ad una identità di genere femminile. Infine, a volte tra il sesto mese e la nascita, viene influenzato anche l’orientamento sessuale, grazie ad una combinazione di geni, ormoni e ambiente intrauterino.
Quindi come mai non sempre i genitali combaciano con il cervello? La scienza deve ancora giungere ad una risposta definitiva ma sono stati individuati tre fattori che possono influenzare la posizione nella quale ogni individuo si colloca lungo lo spettro dell’identità di genere (non esistono solo due generi ma una linea continua che va dal polo maschile a quello femminile)
Fattore # 1: Genetica. In uno studio del 2012, i ricercatori hanno reclutato in tutto il mondo coppie di gemelli in cui uno o entrambi erano transgender. Nelle coppie di gemelli omozigoti, con esattamente le stesse informazioni genetiche, nel 39% dei casi erano entrambi transgender. Mentre tra i gemelli eterozigoti, in cui ogni fratello è geneticamente unico, sapete quanti sono risultati entrambi trans? Esattamente zero. La maggiore probabilità dei gemelli omozigoti di essere entrambi transgender indica che i geni giocano un ruolo importante nel determinare il transgenderismo. C’è di più, uno studio sulla rivista Biological Psychiatry ha effettivamente trovato una variante del gene che è stato associato con l’essere una donna trans (e secondo me anche all’avere grande talento: avete presente Laverne Cox o Janet Mock?)
Fattore # 2: Ambiente uterino. Apettate, ma i gemelli omozigoti non dovrebbero essere sempre identici? Se un gemello è transgender non dovrebbe esserlo anche l’altro? Dalla ricerca appena citata emerge che solo il 39% lo è, ma allora come si spiega il 61% delle coppie di gemelli identici in cui solo uno è trans? Anche in questo caso, la ricerca scientifica è ancora agli inizi, ma una probabile risposta va ricercata nell’ambiente prenatale, alias il grembo materno. I gemelli identici possono condividere il medesimo codice genetico, ma il loro epigenoma -ciò che viene espresso o rimane latente- si differenzia. Non dimentichiamo che i gemelli identici hanno cordoni ombelicali separati, di solito hanno sacche amniotiche distinte e si sviluppano in diversi punti del grembo materno. Tutti questi fattori possono influenzare l’esatta fruizione dei nutrienti, delle sostanze chimiche e, soprattutto, degli ormoni.
Fattore # 3: Strutture cerebrali. Dal momento che il cervello si evolve e si modella continuamente con l’esperienza, gli studi di neuroimaging in cui sono stati osservati cervelli di trans adulti devono essere presi con le dovute cautele. Detto questo, uno studio 2014 sul Journal of Neurosciences ha rilevato nella materia bianca (che insieme alla materia grigia è la sostanza di cui è composto il cervello) differenze che si possono collocare lungo uno spettro in cui i valori di uomini e donne cisgender (coloro che si identificano con il sesso anatomico) sono polarità opposte e quelli di uomini e donne transgender si collocano nel mezzo.
Fino a non molto tempo fa l’identità transgender veniva interpretata come il risultato di una sorta di trauma precoce. Le famiglie, specialmente le madri, sono state ingiustamente accusate (come è accaduto del resto per quasi tutti i disturbi mentali fino a che la scienza non è stata in grado di fornire ipotesi eziologiche migliori con buona pace di maghi ed esorcisti). Fortunatamente con l’emergere di prove biologiche, diventa sempre più chiaro quanto le terapie di conversione, sia per l’identità di genere che per l’orientamento sessuale, siano inutili e dannose.
OK, quindi se l’identità di genere è biologica e disposta prima della nascita, perché essere transgender viene diagnosticato come disturbo? Significa che qualcosa non va? Beh, sì e no. Per essere veramente un “disturbo”, un problema psicologico deve causare distress ossia emozioni molto negative e impedimento cioè una restrizione significativa nello svolgimento delle attività della vita quotidiana. La “bibbia” dei professionisti della salute mentale, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, ( DSM-5), include la Disforia di Genere tra i disturbi mentali. Si chiarisce fin da subito però che il problema non è l’identità di genere in sé: il distress e il disagio provengono dal vivere con un genere assegnato anatomicamente che è diverso da quello nel quale la persona si identifica. In altre parole, essere transgender non è una malattia; gli individui transgender sanno bene chi sono, ma hanno a che fare con una società spesso ostile ed è proprio il doversi confrontare con questa ostilità che genera il disagio.
Dopo molte discussioni (anche abbastanza accese,direi) la Disforia di Genere è stata inclusa nel DSM-5, in sostituzione del Disturbo dell’Identità di Genere, che patologizzava la mancata corrispondenza del sesso assegnato con l’identità di genere, proprio come il DSM-II patologizzava l’omosessualità. La nuova diagnosi di Disforia di Genere fornisce agli individui transgender una classificazione che permette loro di ricevere l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno e di accedere ai servizi di consulenza medica e psicologica necessari ad individuare il percorso di vita più adeguato a ciascuno.
Ovviamente ci sono ancora dibattiti in corso, ci si chiede infatti se sia giusto diagnosticare una singola persona quando il suo disagio non ha un’origine individuale ma sociale (in quanto dovuto ad una cultura che stigmatizza le persone non conformi alle norme di genere). Vedremo se il DSM-6 cambierà le cose ancora una volta ma per ora molti anche all’interno della comunità LGBT vedono la diagnosi come un importante passo concreto e simbolico.